Biography and texts

Andrea Colombu, nasce a Cagliari nel 1973 dove, tutt'oggi, vive e lavora.
Durante l'adolescenza si iscrive al Liceo Artistico Statale "Foiso Fois" di Cagliari. Diplomatosi, a metà degli anni '90, si trasferisce a Perugia, dove frequenta l'Accademia di Belle Arti "Pietro Vannucci".
I primi lavori sono di quel decennio, e le tematiche iniziali che li caratterizzano risentono fortemente dell’influenza della pittura gestuale, e si rifanno a movimenti artistici come l'Arte Informale.
Mentre la ricerca formale lo spinge nello studio delle geometrie più pure, la contaminazione dell'arte concettuale lo porta a sposare l'idea del contenuto simbolico. Gli ultimi anni del decennio, lo vedono nella piena sperimentazione dei materiali. Carta, pietra, ferro, carbone, gesso e inchiostro.
Terminati gli studi accademici, nel 2000 abbandona completamente l'uso della materia per affrontare nuove tecniche e processi compositivi, come la fotografia e la grafica vettoriale, spesso supportate dal disegno. Processi quotidiani che assumono un carattere meditativo e introspettivo, nell'osservazione della società contemporanea.
Andrea Colombu was born in Cagliari, Sardinia, in 1973 where he lives and works till today. He graduated at “Liceo Artistico Statale Fois Fois” in the mid 90s and he moved to Perugia where he studied at Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”. His first works were in that decade and the first themes were strongly influenced by gestural painting and inspired by artistic movements such as Informal Art.
While the formal search pushed him to the study the purest geometries, conceptual art led him to the idea of ​symbolic content. In the last years of the decade, he worked on experimenting with materials: Paper, stone, iron, coal, plaster and ink. After he finished university, in 2000, he completely abandoned the use of these materials to experiment with new techniques, compositional processes like photography and vector graphics, often supported by drawing. Everyday methods that requires meditative and introspective state while observing the contemporary society.

--------------------------------------------------------------------------

"Un tempo io fui già fanciullo e fanciulla, arbusto, uccello e muto pesce che salta fuori dal mare. * Il desiderio di essere altro da sé spinge a protrarre sino all'ultimo l'indefinitezza delle immagini catturate per caso, di cui non si comprende subito la forma. Una macchia sul muro. Un intreccio di fili. Una foto fuori fuoco. Spinge ad estendere sino all'infinito il momento di vuoto del nostro intelletto, di silenzio, di bellissima ignoranza durante il quale l'immagine può essere qualunque cosa. Qualsiasi altra rispetto a ciò che da lì a breve, inevitabilmente, mostrerà di essere. E' lo stesso segreto desiderio di perdersi per davvero in un luogo realmente a noi sconosciuto, se ancora ne esistono. A cercare lo straniamento della svolta inattesa in una strada mai vista, del panorama ignoto, della nostra estraneità a ciò che ci circonda. Un enigma che per la sua brevissima durata ha bisogno dello sguardo, perché è da lì che lo smarrimento arriva. La composizione, l'innesto danno agli oggetti oltre che alle persone, più identità, nuove possibilità. Man mano che ci si avvicina agli oggetti, composti così da trasformarsi, questi mostrano la loro natura individuale. Meglio forse restare a distanza. Nelle composizioni, così come nell'insieme di un branco, finalmente le cose non sono più quelle e ironicamente rivelano un altro volto, un'altra vita.

Maria Chiara Esposito.

--------------------------------------------------------------------------

Andrea Colombu è un'artista visionario, accattivante, che dipinge con la fotografia e disegna con la grafica. Utilizza tutte le tecniche a sua disposizione, tutti i materiali e gli oggetti possibili, e immaginari. Li scompone, li assembla e li moltiplica per dare vita a un suo segno grafico distinto, a nuove strutture architettoniche, formule matematiche.
Pratica un manierismo fotografico che esplora gli archetipi della cultura occidentale e i suoi miti, li manipola e li contamina, creando nuove forme dell'immaginazione, altri contenuti simbolici. Nella grafica spinge la sua ricerca ai fini di una speculazione quasi scientifica che esplora il microcosmo e lo ricrea. A.C. non si fa mancare niente: La fotografia rivela, nella sua perizia e precisione, il rigore formale della pittura del '600 con i suoi ritratti, nella tecnica di composizione, le nature morte di Arcimboldo , con le sue ambiguità geometriche, gli oggetti impossibili di Escher e con lo stile narrativo di W. Burroughs. Le sue composizioni sono piene di citazioni, metafore, allegorie. Facce più o meno note e oggetti quotidiani che mette insieme in modo ironico e dissacrante. Le sue immagini emanano atmosfere gotiche e visioni metropolitane; hanno l'immediatezza del cinema, e la persuasività del marketing.

--------------------------------------------------------------------------

Nei suoi segni accoppia, con perizia e meditazione, il segno pulito della penna alla semplice purezza della carta; attraverso un modo di procedere ben distante dall’essere eccentrico o rumoroso, rappresenta paesaggi rielaborati nella memoria, ricostruisce in pianta le masse murarie, i corridoi d’accesso e le camere circolari dei villaggi nuragici. L’assenza di sofisticazione nei materiali che usa dà ragione al suo essere attento e riguardoso verso l’incontro tra il suo presente e lontanissime radici. Un senso di rigore e di precisione del tratto, una ricerca estetica dell’ambiente circostante fusa in una dimensione introspettiva tutta personale portano ad esternare questa fascinazione da lui stesso subita, in decine, centinaia di disegni. Disegnare è un rito quotidiano e ogni disegno è fatto di dialoghi, tracce ed eventi e, attraverso la sua mano moltiplicatrice, può, con un gesto tutto umano, custodire gelosamente frammenti e ricordi di una lunga narrazione.

Viviana Tessitore

--------------------------------------------------------------------------

OMBRE LUNGHE
L’ombra è forse uno dei simboli, dei modelli iconologici che più ha affascinato la fantasia degli
uomini, dei letterati e degli artisti. Come non approfittare di questa occasione espositiva per poter
raccontare l’operazione artistica di Andrea Colombu, qui proposta, se non sfruttando alcune delle
molteplici metafore che si collegano all’ombra.
La tradizione classica ci racconta di come Ulisse negli inferi tenti di abbracciare la propria madre
Anticlea, per tre volte, inutilmente. L’eroe abbraccia il vuoto, ossia tenta di afferrare l’illusione di
un’immagine che gli era apparsa come reale («trattando l’ombre come cosa salda», direbbe Dante).
Da questo esempio omerico la nostra prima considerazione. Se dobbiamo parlare di ombre e
dell’illusione che deriva dalle immagini non ci discostiamo molto dal parlare di arte. Se infatti,
come qualcuno ha detto, l’ombra è l’anima del corpo, possiamo tentare un’interpretazione
affermando che l’opera d’arte è l’anima della realtà. L’opera d’arte infatti, come l’ombra, è
perfettamente visibile ma allo stesso tempo inafferrabile. Ciò che l’artista plasma, dipinge, traccia
con il disegno o anche elabora con il computer è molto semplicemente (ma anche complicatemente)
una proiezione: la proiezione di un’idea che si contrappone alla luce dell’immaginazione. Ogni
oggetto d’arte, in fondo, non è altro che l’ombra di un’idea, un inganno dell’occhio e della mente.
Seconda considerazione. L’ombra pur essendo un ossimoro ottico, ossia è qualcosa di
inconsistente e allo stesso tempo qualcosa di reale, è sempre la testimonianza di una “presenza”.
Una presenza manifestata dall’opposizione di un corpo alla luce. Ma, a contraddire quest’ultima
considerazione (o forse a ribadirla), ci accorgiamo che le opere qui esposte sono soprattutto il segno
di una “assenza”. Sono ciò che rimane di una realtà che possiamo solo ipotizzare, che si manifesta
come una presenza inavvertibile: sono la testimonianza di una mancanza. Come i prigionieri della
caverna platonica osserviamo queste ombre lunghe cercando di immaginarci quale corpo le abbia
determinate. Andrea Colombu con queste sue originali composizioni fa un uso abile di questi due
livelli metaforici e interpretativi: quello della proiezione e quello dell’assenza. Però proprio la
scomparsa del corpo che si interponeva alla luce pone degli interrogativi in chi osserva. A chi
appartenevano quei corpi? Chi erano? Quali vicende umane si sono proiettate in quelle ombre? Nel
dubbio, nell’assenza appunto, abbiamo la certezza (e anche il timore) che quelle ombre siano ciò
che resta di un’esistenza drammatica, spenta improvvisamente, come un soffio spegne una candela
lasciandoci nel buio profondo. Facile pensare a vite spezzate da guerre, da genocidi o soltanto a
coloro che non sono riusciti a portare oltre un’altra sponda il proprio corpo e la propria ombra.
Queste ombre lunghe sono dunque anche una testimonianza di presenze mancate che ci deve far
riflettere.
Andrea Colombu è un artista poliedrico con una sensibilità che sconfina nella poesia e una profonda
conoscenza delle tecniche pittoriche che gli permette di spaziare nei differenti campi espressivi, dal
disegno puro alla computer art, dall’assemblaggio materico alla street art. La sua tecnica raffinata e
la fervida passione creativa ne fanno un artista che ci sorprende continuamente, un artista
infaticabile che, ogni volta che affronta un nuovo tema, è incessantemente spinto a produrre
innumerevoli varianti dell’opera fino a raggiungere il risultato più felice e ottimale: uno stato di
grazia artistico che seduce inevitabilmente chi osserva le sue opere. Anche questa raccolta di
quindici linee d’ombra nasce da un percorso riflessivo complesso e da una raffinata ricerca artistica.
Tecnicamente queste “proiezioni” sono ottenute con un paradosso pittorico: il nero su nero.
Paradosso ben noto e ricorrente nella pittura contemporanea che ritorna nell’arte astratta e informale
(Malevič, Rotko, ma anche e soprattutto Burri) con il costante tentativo di compenetrare figura e
sfondo nell’accostamento di minime sfumature di un identico colore, fino a sfidare la monocromia
assoluta. Un paradosso, appunto, perché condizione necessaria per la consistenza di un’ombra è che
esista uno sfondo su cui stagliarsi e questo non può essere nero. Forse ciò che resta della luce che ha
dato origine all’ombra è quel baluginìo bianco che si sovrappone alle immagini nere impalpabili,
come quando si fissa intensamente un oggetto luminoso e poi, chiudendo gli occhi, ci rimane
impresso sul nero della retina la fosforescenza e il contorno vibrante dell’oggetto stesso. L’artista,
dunque, combina il nero della base con la stesura di una amalgama trasparente che fa risaltare la
figura tracciata, che si pone così in vibrazione con il nero dello sfondo. Le linee bianche
sovrapposte non fanno che accentuare questa vibrazione. E dunque, alla simbolica proiezione e
assenza vista prima, dobbiamo aggiungere questa sottrazione e sovrapposizione di colore. Il
risultato di questa mostra è un sorprendente gioco di rimandi ottici e di allusioni simboliche ottenute
semplicemente illuminando il nero.

Roberto Randaccio